top of page

CASENTINESI

 

...Per distinguere le fotografie provviste di questa capacità di produrre un senso e dunque un valore aggiunto di conoscenza, bisognerebbe richiamarsi all’acuto saggio di Roland Barthes, La camera chiara. Ci sono due modi di approccio a una foto, dice Barthes: uno consiste nell’informazione e nella gradevolezza che la foto ci offre nel suo complesso (ed è perciò che diciamo che una foto “ci interessa” o “ci piace”); l’altro più sottile e di solito annidato in qualche particolare, sta nell’emozione e nella sorpresa con le quali alcune foto hanno la capacità di colpirci, o meglio, come dice Barthes, di “pungerci”, di farci scoprire qualcosa che non sospettavamo esistesse, e che scocca dall’immagine come una rivelazione (ed è allora che diciamo che una foto “ci attrae” o che, comunque, la amiamo).

Le fotografie di Gianni Ronconi hanno un oggetto preciso: i casentinesi. Ma l’oggetto in realtà si estende, anche perché le sue immagini non si propongono tanto di documentare, quanto di illuminare e di rappresentare: cioè di gettare luce e costruire inquadrature su porzioni di realtà nelle quali sia possibile leggere un senso. Così è per certi ritratti che, sfuggendo alla retorica consueta del genere, invitano lo spettatore a passare dal volto alla maschera, dalla “lettera” al “simbolo”. Eccoli, questi volti scolpiti, istoriati e macerati dal tempo, resi quasi inverosimili (ma è il modo per leggerli meglio) dal deposito di elementare saggezza, antica esperienza, serena rassegnazione.  Eccole quelle case dove porte e finestre possono diventare cornici e inquadrature delle figure umane che vi dimorano. Ecco un vecchio spaccio di Sali e Tabacchi che ha la prospettiva e la carica espressiva di una scenografia teatrale. Ecco la capacità che una foto può avere di “pungere” chi l’osserva: un imprevedibile scorcio dove un’architettura aerea si sposa con un grande sfondo naturale, ma dove la figura vestita e velata di bianco, vista di spalle, sembra nascere come una misteriosa apparizione, o addirittura una allucinazione.

Le migliori (le più pungenti) fotografie di Ronconi si muovono in questo spazio: non Documento, non Cronaca, non Quadro, ma semplicemente sprigionamento di una umile Verità.

​

Renzo Tian 

​

​

… Mi sia concesso di cominciare con una citazione importante, nientepopodimeno che di Hanri Cartier-Bresson, forse il massimo fotografo del Nocevento. Si tratta di una sua dichiarazione di intenti, di un résumè del suo modo di intendere l’arte fotografica da lui stesso intitolato L’immaginario del vero:

​

La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità, il detentore dell’attimo che, in termini visivi, interroga e decide nello stesso tempo. Per “significare” il mondo, bisogna sentirsi coinvolto in ciò che si inquadra nel mirino. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità, senso geometrico. E’ attraverso un’economia di mezzi e soprattutto l’abnegazione di sé che si raggiunge la semplicità espressiva.

Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace: a questo punto l’immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale.

Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. E’ porre sulla stessa linea di mira la mente, gli e il cuore.

E’ un modo di vivere.    

​

...Un artista che riesce a comunicare questo è un artista che veramente pone sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore e di questo risultato, e della gioia fisica e intellettuale che ne traiamo, credo dobbiamo ringraziare Gianni.

Le sue foto, tra l’altro, suggeriscono il ritratto di una terra più e meglio di ogni altra raffigurazione puramente ambientale perché c’è simbiosi tra luoghi e corpi, tra case e volti, tra strade o campi e forme. E Gianni raggiunge questi risultati perché si sente coinvolto in ciò che inquadra nel mirino, perché carica di affettuosa complicità il suo lavoro, perché sorride con gli anziani e i bambini che ritrae, perché li sente vicini e tutto questo lo rende in grado di significarli e di raggiungere quella semplicità espressiva che, lungi dall’essere fattore di limitazione è viceversa il segreto dell’arte vera...

​

Alessandro Brezzi

​

​

​

​

​

bottom of page